Il Libro di Rut è uno dei testi più affascinanti e intensi dell’Antico Testamento, celebrato per la sua profondità emotiva e la ricchezza dei suoi temi, che spaziano dalla lealtà e l’amore familiare alla provvidenza divina.
Gli esegeti non sono concordi su una datazione precisa o sull’identità dell’autore, ma molti suggeriscono che l’opera possa essere stata scritta durante il periodo del regno di Davide o poco dopo, forse intorno al X o IX secolo a.C. Questa datazione è in parte dedotta dalla conclusione del libro, che collega Rut all’albero genealogico di Davide, suggerendo una composizione retrospettiva volta a sottolineare le origini divine del re.
Il luogo di composizione è probabilmente da collocarsi in Israele, data la profonda conoscenza delle usanze e delle leggi ebraiche che permeano il racconto.
Il testo si distingue per la sua narrazione focalizzata su personaggi femminili, un aspetto piuttosto raro nei testi biblici, e per l’inclusione di una protagonista moabita, il che suggerisce temi di inclusività e accettazione, che fanno propendere alcuni esegeti verso una datazione post-esilica.
primo capitolo
La sventura della famiglia di Noemi
Il primo capitolo del Libro di Rut pone le basi per una storia intensa di perdita, lealtà e speranza. La narrazione inizia con la descrizione di un periodo di carestia in Israele che spinge Elimelech, sua moglie Noemi (“mia consolazione” נָעֳמִי), e i loro due figli a trasferirsi nella terra di Moab.
Qui, la famiglia cerca rifugio e sostentamento, ma la tragedia non tarda a colpire: Elimèlech (“Dio re” אֱלִימֶלֶךְ) muore, lasciando Noemi vedova. I suoi due figli sposano donne moabite, Orpa (“dal collo rigido” עָרְפָּה) e Rut (da רְעוּת “amicizia”), ma anche loro muoiono dopo circa dieci anni, senza lasciare eredi.
Il dolore di Noemi è palpabile e profondo. Si ritrova in terra straniera senza marito e senza figli, una condizione di estrema vulnerabilità sociale ed economica.
Decide quindi di tornare a Betlemme, avendo sentito che la carestia era finita, nella speranza di trovare una comunità che possa accoglierla. Orpa, dopo un commovente addio, sceglie di restare a Moab con la sua famiglia, ma Rut rifiuta di lasciare Noemi.
Rut torna a Betlemme con Noemi
La fedeltà di Rut si rivela nelle parole cariche di emotività e impegno, che sono diventate famose per la loro forza espressiva:
Non insistere per farmi lasciare o per farmi tornare indietro da te; perché dovunque tu andrai, io andrò, e dovunque tu alloggerai, alloggerò anch’io; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio il mio Dio; dove tu morirai, morirò anch’io, e là sarò sepolta. Così mi faccia il Signore e così mi aggiunga, se altro che la morte mi separerà da te.
Queste parole non solo sottolineano la profondità del legame tra Rut e Noemi ma introducono anche un elemento di conversione religiosa e culturale, poiché Rut abbraccia il popolo e il Dio di Noemi come propri.
Quando Noemi e Rut arrivano a Betlemme (Bet-lèchem “casa del pane” בֵּית לֶחֶם), la comunità è sorpresa e commossa dal loro ritorno. Noemi, tuttavia, esprime il suo amaro destino con un nuovo nome, Mara, (מָרָה) che significa “amara”, riflettendo il profondo strazio che ha segnato la sua vita.
Il primo capitolo del Libro di Rut pone così le fondamenta di una narrazione che esplora temi come la resilienza di fronte alla sofferenza, l’importanza delle relazioni familiari e interpersonali, e la speranza che nasce anche nei momenti di profonda disperazione.
Con la sua scelta, Rut diventa un simbolo di lealtà incondizionata e di amore, facendo presagire una storia di redenzione e di nuova vita che si dipanerà nei capitoli successivi.