In quel tempo, abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».
Mentre esse erano in cammino, ecco, alcune guardie giunsero in città e annunciarono ai capi dei sacerdoti tutto quanto era accaduto. Questi allora si riunirono con gli anziani e, dopo essersi consultati, diedero una buona somma di denaro ai soldati, dicendo: «Dite così: “I suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo”. E se mai la cosa venisse all’orecchio del governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione». Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino a oggi.Matteo 27,62-66
«Il giorno seguente la sepoltura, dunque il sabato, i sommi sacerdoti e i Farisei si riunirono per chiedere al governatore della Palestina che il sepolcro di Gesù venisse vigilato «fino al terzo giorno».
Il motivo di questa decisione preventiva fu, appunto, il ricordo di ciò che egli disse quand’era ancora in vita: «Dopo tre giorni risorgerò» (Matteo 27,63). La tomba fu così sigillata e sorvegliata per evitare il trafugamento del suo corpo da parte dei discepoli.
Le guardie assistettero poi al terremoto e alla scena dell’angelo disceso dal cielo, che fece rotolare via la pietra dal sepolcro. Matteo dice che «per lo spavento che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite» (Matteo 28,4); i soldati, giunti poi a Gerusalemme, raccontarono ai sommi sacerdoti quanto era accaduto.
L’inganno dei sommi sacerdoti
Le autorità religiose si erano perciò doppiamente premunite. Se Gesù fosse veramente risorto, sarebbe trapelata la notizia del furto perpetrato dai discepoli; in caso contrario, come loro credevano o speravano, si erano comunque organizzati per impedire che, entro il terzo giorno, i suoi adepti ne trafugassero il cadavere.
I sommi sacerdoti, davanti ai fatti sconvolgenti riferiti dalle guardie, alle quali evidentemente prestarono ascolto, misero in atto la prima strategia, cioè raccontarono: «I suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato». Matteo definisce questa notizia una «diceria» che si diffuse tra i giudei fino al «giorno d’oggi», presumibilmente fino a quando fu scritto il suo vangelo.
La frase riportata da Matteo – «e se mai la cosa verrà all’orecchio del governatore» – indicherebbe inoltre che qualcosa sarebbe effettivamente arrivato prima a Pilato e più tardi forse anche all’imperatore Claudio (10 a.C.-54 d.C.), grazie alle informazioni del suo grande amico e alleato Agrippa I (10 a.C.-44 d.C.) re di Galilea, Samaria e Giudea.
Una voce giunta alle orecchie dell’Imperatore?
A seguito di una di queste voci, Claudio avrebbe emesso un decreto imperiale. Da tale documento possiamo intuire quanto fosse diffusa, insieme alla diceria, la notizia della resurrezione di Gesù. Un decreto che sarebbe stato scolpito – in parte o per intero – su una lastra di marmo, nota tra gli esperti come “decreto di Cesare”.
Nel catalogo della collezione privata curata dal grande archeologo e filologo tedesco Wilhelm Fröhner, figura una nota pressoché ignorata fino agli anni trenta del novecento: «Questo marmo fu inviato da nazareth nel 1878». Si trattava di una lastra alta 60 e larga 37 cm.
Questo reperto restò sconosciuto finché l’antichista Mikhail Ivanovich Rostovtzeff non ne offrì una prima lettura a metà degli anni venti del secolo scorso. La piena rivalutazione del reperto e la sua interpretazione si devono però allo studioso francese Franz Cumont che nel 1930, avvertito dall’amico Rostovtzeff, ne curò la trascrizione, la traduzione e il commento.
Questa lastra conteneva un testo scritto in greco su ventidue righe dal titolo Diatagma Kaisaros, ossia “decreto di Cesare”. In esso, l’imperatore prescriveva la pena di morte contro quelli che noi oggi chiameremmo “tombaroli”, ossia contro chi profanava i sepolcri per trafugarne il contenuto.
Come ho accennato, il decreto fu emanato dall’imperatore Claudio, che ne ordinò la diffusione in tutti i luoghi pubblici della Palestina. ecco la traduzione italiana del testo greco disposto su ventidue righe:
Decreto di Cesare. [riguardo] ai sepolcri e alle tombe è mio volere – chiunque li abbia costruiti per religiosa osservanza nei confronti di genitori, figli o familiari – che questi restino inviolati per sempre. Se però qualcuno accusa legalmente un’altra persona di aver distrutto o spostato con maligno intento altrove quelli che sono stati sepolti, commettendo [così] un crimine contro di essi, oppure ha rimosso le pietre sepolcrali, ordino che contro questa persona sia costituito un tribunale giudiziale. Così come [si usa] per le divinità nelle pratiche religiose umane, ancor più sarà obbligatorio trattare con onore coloro che sono stati sepolti. non si deve assolutamente permettere ad alcuno di spostare [quelli che sono stati sepolti]. ma se [qualcuno lo fa], voglio che il [profanatore] subisca la pena capitale con l’accusa di profanatore di tombe.
Le accuse specifiche erano dirette a coloro che estraevano o trasportavano i corpi «con maligno intento» in altri luoghi, o che «avessero rimosso le pietre» che chiudevano il sepolcro.
Il decreto pare destinato a giudei o a proto cristiani di origine giudaica, poiché era loro usanza costruire tombe di famiglia («chiunque le abbia costruite per religiosa osservanza nei con- fronti di genitori, figli o familiari») e apporre pietre sepolcrali al loro ingresso. tra i romani, invece, i defunti venivano solitamente inumati in tombe individuali presso i cimiteri e non in quelle familiari.
Una diceria non era certamente un motivo sufficiente per giustificare un simile intervento imperiale; oltre a essa, notizie ben più importanti dovettero diffondersi negli anni immediatamente seguenti la morte di Gesù e che preoccupavano non poco chi deteneva il potere.
Notizie che dovettero giungere anche a Roma, poiché Svetonio testimonia che Claudio, negli anni Quaranta del I secolo d.C., allontanò dalla città i giudei seguaci del “Cristo”; e fu sempre lui a promulgare il decreto contro i profanatori di tombe.
Per Claudio, però, la resurrezione di Gesù era probabilmente una sorta di favola, mentre era assai più logico pensare a un trafugamento del suo cadavere, secondo quanto i giudei andavano raccontando. Il decreto mirava, infatti, a impedire che in futuro potessero ripetersi fatti simili, facendo passare per “risorti” dei morti il cui cadavere, in realtà, era stato rubato.
Un corpo trafugato?
Il resoconto dei vangeli escluderebbe la possibilità che il corpo del messia sia stato trafugato: «ed essi (i sommi sacerdoti e i Farisei, n.d.a.) andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi una guardia». Inoltre, prima che il decreto di Cesare fosse emanato, esistevano comunque leggi severe volte a punire coloro che tentavano di manomettere i sepolcri.
Ciò nonostante, non era un fatto così insolito che una tomba venisse profanata, e forse anche per questo i sommi sacerdoti e i Farisei fecero sorvegliare quella di Gesù. Del resto, però, gli apostoli dove avrebbero portato il suo cadavere? L’avrebbero forse riposto in un’altra tomba o perfino gettato in un sepolcreto?
Se della profanazione del corpo di Gesù non abbiamo alcuna prova, siamo in possesso di fonti che confermano la diceria di cui parla Matteo, per esempio il vangelo apocrifo di Pietro. Negli apocrifi è difficile trovare elementi nuovi rispetto a quelli riportati nei vangeli canonici, ma è assai comune che essi confermino, anche in modo indipendente, episodi narrati in Marco, Luca, Matteo e Giovanni.
La testimonianza del Vangelo di Pietro
Nel vangelo di Pietro i principali testimoni della resurrezione sono proprio le guardie al sepolcro che l’autore cerca di identificare: Petronio, un centurione, e alcuni soldati a cui si unì, nel giorno di sabato, anche una grande moltitudine da Gerusalemme. Questo presidio era stato richiesto a Pilato da scribi e Farisei: «Perché i suoi discepoli non vengano a rubarlo e il popolo supponga che egli sia resuscitato dai morti».
Il vangelo di Pietro dice chiaramente che i soldati videro la scena della resurrezione, qui descritta in modo assai più elaborato rispetto a Matteo. Aggiunge poi che tali soldati corsero da Pilato e gli «raccontarono tutte le cose che avevano visto, grandemente agitati, e dicendo: “veramente era figlio di Dio!”».
Il governatore allora si dichiarò innocente della colpa di aver versato il sangue del figlio di Dio, accusando invece i giudei, i quali impauriti «gli si avvicinarono tutti e gli chiesero, pregandolo, di dare l’ordine al centurione e ai soldati di non dire a nessuno ciò che avevano visto». e Pilato acconsentì».
(Tratto da Il libro segreto di Gesù, Newton Compton 2011, pp. 67-69).