Cosa rappresenta l’albero della conoscenza del bene e del male?

28 Ottobre 2024

L’albero della conoscenza del bene e del male (עֵץ הַדַּעַת טוֹב וָרָע, etz ha-da’at tov va-ra) pone in essere un concetto complesso. La parola ebraica per “conoscenza” (יָדַע, yada’) denota un’esperienza profonda e personale.

Il verbo yada’ è spesso utilizzato per esprimere intimità e coinvolgimento, non solo a livello cognitivo, ma come esperienza totalizzante, come nel caso di Genesi 4,1, dove si legge che Adamo conobbe Eva, sua moglie, indicando un legame sessuale oltre che intellettuale.

L’espressione “bene e male” è usata in ebraico per indicare la totalità dell’esperienza, simile a come “cielo e terra” simboleggiano l’intero universo in Genesi 1,1.

Per gli antichi, possedere la conoscenza del bene e del male significava quindi l’accesso a una consapevolezza integrale, alla capacità di discernere e decidere ogni cosa. Questa conoscenza rappresenta dunque una sovranità sulla realtà che Dio riserva a sé, poiché implica il poter giudicare e definire l’intero campo dell’esperienza umana e cosmica, un compito che l’essere umano, nella visione biblica, non è in grado di esercitare senza perdere il proprio legame con Dio.

Il dono e la proibizione

L’accesso al frutto dell’albero della conoscenza è un atto di insubordinazione che suggerisce il desiderio umano di sconfinare nei domini divini.

In Genesi 3,5, il serpente afferma: “…Dio sa che quando ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e sarete come Dio, conoscendo il bene e il male.” Qui il verbo “aprire gli occhi” (פָּקַח – paqach) denota la rivelazione di una realtà più ampia e sovrumana, il che dà a intendere che la conoscenza del bene e del male non sia solo un’acquisizione intellettuale, ma una pretesa di dominio che confligge con i limiti dell’umanità.

In questo senso, l’atto di mangiare il frutto diventa simbolico di una hybris, cioè di un voler trascendere il proprio stato umano per entrare nel dominio divino.

Non si tratta solo di un “sapere” intellettuale, ma della presunzione di poter autodeterminarsi senza i limiti imposti da Dio, accedendo quindi all’autonomia morale, un tema che trova eco anche in Giobbe 28,28, dove si legge: “Ecco, temere il Signore, questo è la sapienza, e fuggire il male è l’intelligenza.”

Risonanze e implicazioni

Questo tema della conoscenza vietata e delle sue conseguenze attraversa altre narrazioni bibliche.

Per esempio, in Deuteronomio 30,15-19, Dio mette di fronte a Israele “la vita e il bene, la morte e il male” e invita il popolo a scegliere la vita aderendo alla sua legge. Anche qui, la distinzione tra bene e male non è semplicemente morale, ma implica una scelta esistenziale in cui la vita è legata all’obbedienza e alla comunione con Dio, mentre il male rappresenta una rottura di questa relazione.

Infine, nei testi apocalittici come in Apocalisse 22,2, si ritorna alla visione di un “albero della vita” nella Gerusalemme celeste, il che suggerisce che l’accesso alla vita eterna, limitato nel Genesi, sarà poi ristabilito come dono dopo la morte per l’umanità che si è evoluta alla luce dell’autentico messaggio biblico. Vediamo ora i paralleli nei testi del Vicino Oriente Antico.

L’Epopea di Gilgamesh

Uno dei testi più rilevanti per il concetto biblico della conoscenza e della ricerca di immortalità è l’Epopea di Gilgamesh, il più famoso poema mesopotamico.

Gilgamesh, re di Uruk, intraprende un viaggio per ottenere l’immortalità dopo aver assistito alla morte del suo amico Enkidu. Nel suo viaggio incontra Utnapishtim, il sopravvissuto del diluvio (simile alla figura di Noè), che gli rivela la vana ricerca dell’immortalità.

Alla fine, Gilgamesh scopre una pianta subacquea che ha il potere di “ringiovanire” (chiamata pianta della giovinezza), ma ne perde il possesso, simboleggiando la natura sfuggente e inaccessibile dell’immortalità per gli esseri umani.

Nella Genesi, il parallelismo è chiaro: l’albero della conoscenza rappresenta una sapienza o un potere che l’uomo desidera possedere, ma che porta solo alla scoperta della sua mortalità e delle sue limitazioni. Così come Gilgamesh, anche Adamo ed Eva inseguono qualcosa che va oltre la loro condizione, sperando di ottenere l’autonomia e la conoscenza totale, ma il loro gesto di insubordinazione porta alla caduta e alla mortalità.

  • Andrew George, The Epic of Gilgamesh: The Babylonian Epic Poem and Other Texts in Akkadian and Sumerian, Penguin Classics, 2003.
    In questa edizione e traduzione dell’epopea di Gilgamesh, George approfondisce il tema della ricerca di immortalità da parte di Gilgamesh e l’episodio della pianta della giovinezza, evidenziando le analogie con la narrazione biblica dell’Eden.
  • Benjamin R. Foster, Epic of Gilgamesh, Norton Critical Editions, W. W. Norton & Company, 2001.
    Foster fornisce un contesto approfondito sul significato simbolico della pianta dell’immortalità, delineando la struttura del desiderio umano di trascendere la propria mortalità e le limitazioni imposte dalle divinità mesopotamiche.

Il simbolismo dell’albero nella mitologia ugaritica

Dai testi di Ugarit, antica città sulla costa del Levante, emerge una visione simile del simbolismo degli alberi e del concetto di conoscenza proibita.

In particolare, nei testi mitologici legati al dio Baal e alla dea Asherah, si trovano riferimenti ad alberi sacri che simboleggiano la connessione con la vita, la fertilità e il potere. Anche in Ugarit, il sacro è inteso come qualcosa di esclusivo della divinità, che gli umani possono solo riverire senza possederlo.

Nella tradizione ugaritica, Asherah, spesso raffigurata accanto a un albero sacro, simboleggia una dimensione di vita e di abbondanza che si rinnova attraverso il ciclo della natura. Tuttavia, questo potere è custodito dal pantheon e non è accessibile agli uomini.

Similmente, l’Eden rappresenta uno spazio di vita abbondante e sacra, ma Dio vi impone dei limiti, sottolineando che certe conoscenze e poteri non possono essere conquistati.

  • Mark S. Smith, The Ugaritic Baal Cycle, Vol. 1, Brill, 1994.
    Smith analizza il ciclo di Baal e il simbolismo legato alla fertilità e alla vita nella religione ugaritica, fornendo interpretazioni sul ruolo sacro degli alberi e sulle connessioni di Asherah con i simboli della vita.
  • John C. Gibson, Canaanite Myths and Legends, T&T Clark, 1977.
    In questo volume, Gibson traduce e commenta i testi ugaritici, includendo riferimenti agli alberi sacri e ai simboli di fertilità associati alla dea Asherah, elementi che illuminano il contesto culturale del Vicino Oriente Antico.

 

Il Motivo della sapienza e il destino umano neitesti aapienziali

Il tema della conoscenza proibita ha forti legami anche con la letteratura sapienziale ebraica e mesopotamica.

In Proverbi 9,10, la sapienza è connessa al “timore del Signore”, suggerendo che la vera conoscenza è quella che rimane in relazione di rispetto con Dio.

Questo è simile a quanto espresso nel mito di Adapa, un testo mesopotamico in cui Adapa, il saggio umano creato dal dio Ea, perde l’opportunità di ottenere l’immortalità perché è stato indotto a non mangiare il cibo degli dèi. Ea, come Dio in Genesi, fissa i limiti delle capacità umane e stabilisce che certi poteri sono riservati al divino.

  • James Pritchard (a cura di), Ancient Near Eastern Texts Relating to the Old Testament, Princeton University Press, 1969.
    Questo volume raccoglie testi sapienzali e mitologici mesopotamici, tra cui il “Mito di Adapa”, fornendo una base di confronto per il tema della conoscenza e dei limiti umani presenti sia nei testi mesopotamici che nella Bibbia.
  • Michael V. Fox, Proverbs 1-9: A New Translation with Introduction and Commentary, Yale University Press, 2000.
    Fox esamina il tema della sapienza e del “timore del Signore” nei Proverbi, evidenziando le connessioni tra il sapere limitato umano e la sapienza che si rivela solo in un contesto di rispetto per Dio.
Simone Venturini

Simone Venturini

Simone Venturini, nato a Fano, Biblista e Professore di Ebraico e Studi biblici è da sempre in prima linea nel settore della divulgazione e della formazione. Vive a Roma insieme alla sua famiglia ed ha ricoperto ruoli importanti nelle più prestigiose università e istituzioni pontificie di Roma. La sua mission è quella di dare alla gente gli strumenti indispensabili per approfondire la Bibbia e capire il senso della vita e della storia.

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