Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo
Genesi 4,7
Si tratta di una frase assai difficile da tradurre in italiano e ancor più da comprendere in relazione alle nostre lingue moderne. La traduzione qui offerta, che risale alla versione della CEI del 2008, è solo una delle possibilità. Un’altra è la seguente: Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato non è forse accovacciato alla tua porta?
Il vero peccato
Il problema più grosso è che peccato in ebraico è femminile – chattat (חַטָּ֣את) – mentre il verbo accovacciato in ebraico è al maschile. Dunque il nome non concorda col verbo che dovrebbe essere ugualmente al maschile.
Nella traduzione sopra proposta, questo non sembra essere un problema. Infatti accovacciato viene predicato senza problemi a peccato. Ed in effetti, la grammatica ebraica permette questo accostamento. Si pensi solo al nome Qohelet (קֹהֶ֣לֶת) il titolo del celebre libro (Qoelet). Un nome femminile che si riferisce all’autore dell’omonimo libro inconfondibilmente maschile.
Ma andiamo con ordine. Dio dice a Caino che se egli agisce con onestà e rettitudine ed anche partendo da se stesso, da ciò che vuole ed ama fare, egli può tenere alto il proprio volto (cfr. versetto precedente).Se l’abbattimento del volto e la rabbia interiore sono segni del sentimento dell’invidia, alzare il volto in modo fiero e libero è segno di libertà e di sicurezza di sé.
Una sicurezza che nasce dal fatto che si fa ciò che si vuol fare, senza confronti e senza rimpianti. Esattamente l’opposto dell’invidia. Se si sceglie la possibilità di una domanda retorica anche per la seconda frase, si accetta l’idea di Dio che cerca di far riflettere Caino per fargli trarre una conclusione.
L’istinto indomabile
Il peccato accovacciato alla porta viene accostato da alcuni al demone mesopotamico rabitsum. Esso era visto sia come na minaccia, ossia come un demone che ulula e che insidia gli occupanti di una casa e sia come un essere posto a protezione che con i suoi ululati allontanava qualche malintenzionato.
Se si vuole seguire questo filone mitologico, si tratterebbe della prima ipotesi. Ad ogni modo il peccato è qui come personificato. Qualcosa che d’istinto può aggredire l’uomo facendogli compiere azioni sbagliate.
Secondo me si tratta sempre della rabbia di Caino, che può assalirlo da un momento all’altro facendogli perdere la testa. Egli può e deve dominarla, ma a poco vale reprimerla e ricacciarla dentro.L’unico rimedio è agire bene, ossia compiere il proprio lavoro in pace e liberamente, seguendo il proprio essere.
Solo, infatti, se non si agisce bene – ossia si lavora logorati dal confronto e dall’invidia – la rabbia è come un demone che, prima o poi, ci assale …
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