Quello tra la donna e il serpente è veramente un rapporto strano, subdolo e comunque misterioso. L’insieme del capitolo terzo della Genesi suggerisce che tra la donna e il serpente esista una certa affinità, un segreto ed ambivalente rapporto.
Già per il fatto che il serpente si rivolge alla donna e non all’uomo per instillare in lei i dubbi riguardanti le buone intenzioni di Dio:
Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male».
(Genesi 3,4-5)
Il rapporto tra la donna e il serpente
Un rapporto, quello tra la donna e il serpente, assai noto nella storia delle religioni. Nella tradizione rabbinica si giunge persino a supporre che la donna ebbe un rapporto sessuale col serpente.
Certamente, invece, il versetto 15 del terzo capitolo della Genesi parla della inimicizia – successiva alla trasgressione – tra la donna e il serpente:
«Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno».
(Genesi 3,15)
La discendenza della donna e del serpente
E comunque, sempre di un rapporto si tratta, perché l’autore non dirà la stessa cosa dell’uomo. Forse che il serpente stava cercando una discendenza dalla donna? Altro motivo ben attestato nella mitologia e nella storia delle religioni.
L’inimicizia, però, riguarda non tanto la donna, quanto la discendenza della donna e quella del serpente. Il discorso, così, non riguarda la prima donna, ma ciò che essa rappresenta. Essa è la madre di tutti gli esseri viventi, dirà più avanti la Genesi (3,20).
La scelta che attende ogni essere umano
Ogni uomo che viene alla luce sulla faccia della terra dovrà rifare la scelta che paradigmaticamente fece la prima donna e il primo uomo. Dovrà, cioè, decidere se avere fede in Dio o trasformare se stesso in Dio;
se avere fiducia nell’uomo, oppure chiudersi a riccio su se stesso, vedendo nell’altro solo una minaccia.
Dovrà decidere se ‘mangiare del frutto proibito’ oppure gustare la vita e ‘gli altri alberi del giardino’, godendo della presenza sanante e giustificante di Dio.
Questo versetto, come ben sappiamo, è chiamato dai teologi anche “protovangelo” a motivo della applicazione che i cristiani ne hanno fatto a Maria e Gesù, al cristianesimo e a tutte le forze che, nel tempo, ad esso si oppongono.
Il veleno dell’angoscia
Ma aldilà di questa interpretazione cristiana, il versetto riguarda la vita di qualsiasi uomo. Riguarda la scelta di fondo che l’uomo può fare e che poi si traduce nei gesti e nei fatti di ogni giorno.
Schiacciare la testa al serpente significa neutralizzare il veleno dell’angoscia che spinge e spingerà sempre l’uomo a fuggire da se stesso, da Dio e dagli altri, estraendo dalla sua fragile umanità e dalla storia tutto ciò che può avere la parvenza di assoluto.
L’angoscia, che sconfina nell’oceano buio e tenebroso del nulla, assumerà la figura di alettanti proposte di autonomia, di autarchia, di soddisfacimento illimitato dei propri sensi.
Ma non svelerà mai, almeno all’inizio, il suo vero intento: quello del morso al calcagno, ossia del veleno mortale che una vita senza Dio e senza gli altri inietta inesorabilmente nelle vene dell’anima.