Se si interpreta simbolicamente l’immagine del deserto, dopo il passaggio del mar Rosso cominciano già dei sentimenti di assurdità e di vuoto. Ci siamo lasciati dietro alle spalle il mondo dei vecchi programmi coercitivi dettati dall’esterno; ci siamo sottratti alla vita di schiavitù, all’esistenza vissuta dall’esterno, governata da monarchi stranieri divinizzati.
Ma ora, nella nostra vita, nella nostra esperienza, si spalanca un vuoto gigantesco. Per che cosa vivere adesso, se dall’esterno nessuno di dice cosa dobbiamo fare?
Il deserto dell’assenza di imposizioni e imposture
Dove rivolgerci ora, in che direzione orientarci, se vien meno il solido appiglio dell’esterno? Cos’è che adesso ha ancora senso? Immancabilmente i pensieri tornano al passato. Ma era davvero così brutto? Cosa non si darebbe adesso per uno dei consigli di allora, per un ordine di quelli che allora si rifiutavano!
Ma ora il mondo è senza appigli e inconsistente come una duna di sabbia e tutte le voci che vi si sentono sono come l’assurdo gioco del vento. Cento e cento volte s’impadronisce di noi il desiderio di non essere mai usciti dall’Egitto; e ci sentiamo stanchi e rassegnati e non vorremmo più andare avanti.
Cosa fare per non tornare indietro
E ancora una volta, solo a stento, più tardi potremo spiegare ad un altro cos’è che ci ha aiutato a resistere. Israele ha parlato sempre del periodo nel deserto come di un miracolo unico.
E in effetti, le proprie forze non bastano. Eppure si va avanti giorno dopo giorno. Ogni giorno si raccolgono pezzetti di ‘manna’, che tengono in vita; fugaci parole buttate là, brevi attimi di un empito di gioia, un piccolo successo, una passeggiata in due – diventano pezzetti di manna, cibo di Dio.
Tutto diventa un dono
Come se molto lentamente avvenisse una metamorfosi: da noi non facciamo proprio niente di essenziale nella nostra vita; ciò di cui si vive è come un regalo immeritato; tutto ciò che ci rafforza si dimostra essere un dono.
Ed è come se ora proprio questo fosse la cosa più importante: dopo che per tutta la vita ci siamo sforzati di meritarci la vita e di pagare il nostro permesso di soggiorno sulla terra con ogni specie di lavori forzati e di schiavitù, dobbiamo improvvisamente imparare a raccogliere i regali del quotidiano, ad aprire le fenditure delle rocce (Numeri 20,1-3) ed a prendere tutta la vita come un dono che ci cade in grembo.
Non dobbiamo imparare niente di meno che a vivere gratis nel vero senso della parola.
Il recupero dell’essenziale
E proprio questo cambiamento è duro. In sostanza è un completo sovvertimento di tutto ciò che finora aveva avuto valore. E questa è una cosa che si risulta amara, amara come le acque di Meriba (Esodo 17,1-7), e abbastanza spesso non ne beviamo neppure un sorso senza imprecare e maledire.
E tuttavia non c’è nient’altro da fare. Ciò che è essenziale ci cade in grembo; ciò che ci fa vivere non è quello che facciamo noi.
La libertà della gratitudine
E l’unica scelta è quella tra l’egoismo della paura e la libertà della gratitudine, tra la vita da schiavi in Egitto e il volo delle quaglie smarrite sulle oasi del deserto. Certamente, spesso proprio in questo tempo tutto ci sembra segnare il passo;
ogni delusione ci appare brutta il doppio; invece di procedere dritti in una direzione chiara si va piuttosto a zig-zag, ora verso nord, subito dopo verso sud, senza un piano riconoscibile, senza un progetto chiaro, in un essere sbattuti qua e di là incomprensibile, che, quanto più dura, tanto più si sente opprimente.
Nulla e nient’altro di come Dio ci ha fatto
Eppure in tutte queste ore di impotenza e di apparente assurdità si entra in uno spazio in cui l’azione personale si esaurisce e viene a maturazione il senso della grazia.
Possono così passare degli anni, ma il tempo guarisce, e deve essere sopportato nel suo insieme, prima che la nostra persona si apra alla verità e noi siamo e non dobbiamo essere altro che ciò che Dio ci ha fatto.
(Tratto da E. Drewermann, Esegesi e Psicologia del profondo, Vol. 1, pp. 437-438)