La prima tra le riforme strutturali introdotte nella comunità giudaica post-esplica e che furono (idealmente) ancorate alla “Riforma di Giosia” (cfr. 2 Re 22-23; 2 Cr 34) è la cosiddetta centralizzazione del culto a Gerusalemme.
Di essa parla Deuteronomio 12, il capitolo con cui si apre il cosiddetto “Codice deuteronomico” (Dt 12-26). Infatti, il Tempio di Gerusalemme è l’istituzione centrale di tutto il periodo post-esilico, cosiddetto del Secondo Tempio, che terminerà solo nel 70 d.C., con la sua definitiva distruzione.
Tuttavia, la centralizzazione del culto a Gerusalemme riguarda ben poco il periodo di Giosia, mentre invece caratterizza assai di più il periodo dei profeti Aggeo e Zaccaria, quando il Tempio di Gerusalemme viene effettivamente ricostruito (520-515 a.C.).
La celebrazione della Pasqua
Il secondo elemento della riforma strutturale è la nuova celebrazione della Pasqua. Il racconto di questa celebrazione rappresenta l’apice del resoconto della “Riforma di Giosia (cfr. 2 Re 23,22). Gli studiosi, infatti, pensano oggi che l’intero racconto della “Riforma di Giosia” sia da datare al periodo post-esilico.
Il nuovo rituale fonde insieme due feste assai antiche in Israele. La prima di carattere agricolo – la festa degli azzimi (mazzot – מַצּוֺת) – legata al mese delle spighe; la seconda legata invece al mondo della pastorizia, dove mediante il sacrificio di un agnello si voleva assicurare la protezione di tutto il gregge.
Questo rituale sarebbe stato codificato nella festa di Pesach ( פֶסַח = Pasqua) con la riforma deuteronomistica (Dt 16). Storicamente, la celebrazione della Pasqua non è attestata in alcuno dei testi profetici pre-esilici; ciò significherebbe che il rito della Pasqua è di origine post-esplica e rappresenta una delle riforme introdotte nel periodo della ricostruzione del Tempio.
L’istituzione del sabato, apice della settimana
Il terzo elemento della grande riforma deuteronomica è l’istituzione ufficiale della festa settimanale del sabato. Prima del VI secolo a.C., il sabato veniva festeggiato con cadenza mensile.
Probabilmente si trattava, prima dell’esilio, della festa lunare del “plenilunio”, lo shapattum del calendario mesopotamico, in contrapposizione al “novilunio”. Ciò appare con chiarezza nel profeta Amos (8,5; Os 2,13 e Is 1,13 – VIII sec. a.C.).
Nel libro del profeta Ezechiele – periodo esilio – si parla spesso di “sabati” (al plurale), facendo pensare ad una fase in cui si celebrasse sia il sabato con cadenza settimanale, sia quello con cadenza mensile (Ez 20,23; 16,21.24; 22,8; 23,38). Più probabilmente, Ezechiele testimonia una fase di passaggio dalla cadenza mensile a quella settimanale.
Sicuramente l’istituzione della celebrazione settimanale del sabato riveste un’importanza centrale nella comunità giudaica post-esilica, quale giorno speciale e centrale della settimana e totalmente consacrato a Dio. La formulazione più completa riguardo alla settimana di lavoro che termina col sabato è quella di Dt 5,12-15:
Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore Dio tuo ti ha comandato. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato.
È probabile che da questo testo – cfr. v. 13 – derivi poi lo schema settimanale dell’opera creatrice di Dio. In tal senso, la settimana di lavoro umana è un riflesso dell’opera creatrice di Dio e, viceversa, l’opera creatrice di Dio in sette giorni è modello dell’attività umana settimanale.
Il re, il sacerdote e il profeta
L’ultimo elemento, descritto in Dt 17-18, riguarda l’assetto di governo della comunità post-giudaica. Il modello deuteronomico prevedeva la presenza di un re affiancato nel governo da un sacerdote e da un profeta, nel quadro dell’osservanza della Torah.
Questo quadro ideale, seppur idealistico, sarebbe stato compiuto nelle figure di Zorobabele (il governatore persiano che fece ricostruire il Tempio) e del profeta-sacerdote Zaccaria. Tuttavia restò piuttosto un ideale senza futuro, perché sia Zorobabele che Zaccaria furono soppiantati da Giosuè, per decisione dell’autorità centrale persiana.
Fu un vero e proprio “colpo di Stato” che pose fine ad un governo laico della Giudea e che fu teologicamente giustificato dagli scritti profetici di Aggeo e Zaccaria. D’allora in poi sarà il sommo sacerdozio il grado più alto del governo teo-ierocratico della Giudea.
In conclusione, il movimento di riforma deuteronomistica diede una nuova configurazione all’Israele del passato (ossia del periodo precedente all’esilio). Per avvalorare questa riforma, il narratore fa parlare Mosè in prima persona ed àncora tutte le innovazioni introdotte al mito fondatore della riforma di Giosia, quale restauratore dell’antica legge mosaica dimenticata (la Toràh).
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