L’ascesa dell’antica civilizzazione mesopotamica alla fine del IV millennio si verificò nel sud della Mesopotamia, lungo il Tigri e l’Eufrate, dove i Sumeri crearono le città stato, ciascuna con la sua divinità locale.
A ogni città il suo dio
In Uruk c’erano due grandi templi: uno dedicato ad Anu, il dio dei cieli; l’altro dedicato ad Inanna, la dea madre della fertilità, dell’amore e della guerra. Ma anche in altri luoghi erano adorate divinità: Enlil, signore dell’aria a Nippur; Utu, il dio sole, a Larsa; Nanna, il dio della luna, a Ur.
Ciascuna divinità aveva una famiglia e dei servitori ugualmente adorati in diversi santuari. Il tempio si trovava su un altipiano e consisteva in una stanza sacra in cui una statua della divinità veniva lavata, vestita e nutrita ogni giorno.
Lungo i secoli, i sacerdoti sumeri raccontavano le storie di queste divinità, le cui gesta erano limitate in diverse sfere di influenza. Inoltre, i miti sumeri narrano leggende sulla creazione: Enlil – nell’immagine a destra Enlil è raffigurato con la sua paredra Ninlil – per esempio, separò i cieli dalla terra ed Enki creò l’uomo affinché procurasse cibo per se stesso e gli dei.
L’impero accadico
Durante il millennio seguente, ondate di popolazioni semitiche (note col nome di Accadi) presero a dimorare in mezzo ai Sumeri, adottando la loro scrittura e cultura. A partire dal 2300 a.C., quando Sargon di Accad stabilì il primo impero semitico, essi dominarono la Mesopotamia.
Le storie sumere furono allora tramandate in una lingua semitica, l’accadico. I semiti riformularono la cultura sumera, identificando alcuni dei loro dei con quelli sumeri.
Anu, per esempio, fu identificato con El; Inanna con Ihstar; Enki con Ea. Nelle scuole accadiche le epopee degli dei furono messe per iscritto. L’epopea di Ghilgamesh, per esempio, parla del re Ghilgamesh che regnò su Uruk intorno al 2700 a.C.
Gilgamesh fu forse un sovrano sumero di Uruk e visse all’incirca tra il 2700 e il 2500 a.C. I canti composti in suo nome furono tramandati oralmente e poi messe per iscritto. Nel 1500 a.C., questi testi furono uniti insieme, dando vita ad una vera e propria epopea. La sua versione classica fu trovata nella biblioteca di Assurbanipal, re assiro del VII sec.a.C., a Ninive.
L’epopea parla di Gilgamesh afflitto dalla morte del suo amico Enkidu. Disperato dall’idea della morte, si mette alla ricerca di Utnapishtim, unico uomo sopravvissuto al diluvio universale. Gli rivela il segreto dell’immortalità, attraverso l’uso di una pianta, che però Ghilgamesh non riuscirà a mangiare perché essa poi scivolò in un fiume.
Gli dèi e la vita quotidiana
Per i sumeri e gli accadi, la vita era controllata dagli dèi. Per ottenere la felicità, si doveva mantenere il buon umore degli dei attraverso il culto e i sacrifici. Nondimeno gli dei erano imprevedibili e ciò diede origine alla lettura dei presagi.
Nella nascita di esseri deformi, il movimento degli animali, le forme delle crepe sui muri e l’olio versato nell’acqua questi popoli percepivano le dita degli dei che indicavano il futuro.
Così se una persona voleva sposarsi od un re sceglieva di scendere in guerra, essi consultavano i presagi. Un’altra pratica frequente era l’esame del fegato di un animale sacrificato, la cui interpretazione era affidata ad una classe di sacerdoti specializzati.
Nella foto, un modellino di creta (2000-1500 a.C. circa) del fegato di pecora, usato dai Babilonesi per insegnare ai futuri esperti di lettura di presagi, le varie parti dell’organo e i significati ad ad esse annessi.