La scienza ci dice che fra cinque miliardi di anni il sole si spegnerà e la vita sulla terra terminerà, ammesso che per allora essa sia ancora popolata di esseri viventi.
Magari, nel frattempo, potrebbe accadere qualche evento apocalittico per esempio la caduta di un meteorite, oppure una guerra mondiale in cui si farebbe largo uso di armi atomiche. Chi può saperlo?
Al di là del linguaggio usato dall’autore dell’Apocalisse e che è presente anche altrove nella Bibbia, l’ultimo grande scenario che il Nuovo Testamento ci offre in apparenza non sembra conseguente a eventi catastrofici, bensì a una sorta di soffusa serenità:
«Vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano passati e il mare non c’era più».
(Apocalisse 21,1)
Invece, a mio avviso, si tratta ancora una volta della descrizione di un evento di portata cosmica, come già la Genesi diceva:
«In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era deserta e informe, le tenebre erano sulla superficie dell’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque».
(Genesi 1,1-2)
Cielo e terra
«Cielo e terra». Sappiamo già che si tratta di un’espressione tipicamente ebraica per indicare che tutto ciò che esiste deriva da Dio (cfr. Giovanni 1,3).
Giovanni, invece, vede qualcosa di nuovo, non nel senso che il pianeta terra non esiste più, bensì che l’attuale assetto cosmico sarà passato.
Questa interpretazione si basa su due indizi. Il primo è il verbo greco apelthan. I cieli e la terra di prima non saranno distrutti, ma «passeranno» (cfr. anche Luca, 21,33).
Il simbolo del mare
L’altro e più importante indizio è che il mare non ci sarà più. Come abbiamo avuto più volte modo di notare, le acque sono, all’inizio della Bibbia e in modo ancora più evidente nell’Apocalisse (cfr. 13,1), il simbolo del male e delle tenebre.
La novità assoluta dovrebbe essere l’ingresso definitivo dell’uomo nel mondo luminoso di Dio. Detto in altre parole, il caos primordiale non esisterà più e la luce permeerà finalmente tutto ciò che esiste.
È il punto finale del tragitto iniziato con l’uscita dell’uomo e della donna dal paradiso terrestre. Il percorso dell’uomo termina con l’immersione totale nella luce.
Questo è il senso recondito di tutte le immagini che compongono questo straordinario brano dell’Apocalisse (capitolo 21). Come comprendere altrimenti ciò che si dice subito dopo?
«Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Apocalisse 21,2).
(Apocalisse 21,2)
Se, infatti, la fine del mondo coincidesse con la distruzione della terra, dove discenderebbe la nuova Gerusalemme?
Il verbo greco katabàinein (“discendere”) indicherebbe il processo di fusione dei due mondi, quello dell’uomo e quello di Dio, senza più il mondo del male (cfr. 21,25-27).
Tutto, insomma, parla della luce, che viene – per l’ultima volta – paragonata a quella del sole (21,23), anche se ancora si dice che non coincide con essa, ma con la «gloria di Dio» (cfr. 21,10).
La Gerusalemme celeste
Cos’è allora questa misteriosa Gerusalemme celeste, se non ciò che oggi – nella difficile fase conclusiva del tempo della fine – definiamo Paradiso?
Nella trasfigurazione, infatti, si dice che Elia e Mosè (Matteo 17) – ovviamente defunti – erano apparsi nella gloria di Dio, ossia nel luogo che prima di Gesù era chiamato pardès (“paradiso”).
Alla fine del mondo, queste definizioni umane, che perlopiù indicano la separazione del nostro mondo da quello di Dio, svaniranno.
L’unica dimensione esistente sarà quella superna, che avvolgerà tutto. In questa Gerusalemme celeste non ci sarà più un tempio:
«Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio».
(Apocalisse 21,22)
Dietro all’ovvio riferimento storico al tempio di Gerusalemme, è innegabile un’allusione al destino della Chiesa terrestre fondata da Gesù, che solo allora cesserà il suo compito!
La Chiesa del futuro
Sembra, perciò, che la Chiesa avrà ancora vita lunga, anzi lunghissima. Ciò ci aiuterebbe tra l’altro a relativizzare l’attuale fase di grave difficoltà in cui essa si trova, segno solo di un processo di purificazione che la porterà a essere pienamente la comunità voluta da Cristo e retta da Pietro.
La profezia dello Pseudo Malachia
Si tratterà forse di una Chiesa profondamente diversa da quella attuale, sconvolta e segnata dal mistero dell’iniquità che segna il tempo della fine. La predizione più famosa sulla successione dei pontefici – la profezia del cosiddetto San Malachia – sembrerebbe così errata:
«In persecutione extrema Sanctae Romanae Ecclesiae sedebit Petrus Romanus qui pascet oves in multis tribulationis, quibus transactis, septicolis diurentur et judex tremendus judicabit populum suum. Amen».
Infatti, l’attuale pontefice corrisponderebbe alla descrizione che l’anonimo e cinquecentesco autore di questa profezia fa immediatamente precedere all’enigmatico Petrus Romanus, che rappresentando il personaggio finale descritto nei centododici motti, e segnerebbe perciò anche la fine della Chiesa: Gloria Olivae.
Comunemente, infatti, i due motti precedenti sono riferiti a Giovanni Paolo II (De labore solis) e a Giovanni Paolo I (De mediaetate lunae).
Se vogliamo a tutti i costi attribuire un significato a questa profezia, l’avvento del Petrus Romanus sarebbe in relazione al papa eletto al termine del tempo della fine e non alla fine del mondo. Solo allora, secondo la Bibbia, la Chiesa terminerà la sua funzione storica.
Non esiste, infatti, alcun’altra profezia accurata e convincente sulla fine del mondo come quella contenuta nel capitolo 21 dell’Apocalisse.
Una previsione di scenari futuri e non una predizione di date, come quelle – puntualmente smentite – contenute nelle profezie di Nostradamus: nel 1732 l’intero genere umano sarebbe stato eliminato dalla faccia della terra e nel 1999 doveva avvenire nientemeno che il giudizio universale!
Una fine estrema, quella descritta dall’Apocalisse, talmente lontana da noi che viene anche da chiedersi se sia utile parlarne.
La fine del mondo
Quale interesse può avere per la mia vita qualcosa che la Bibbia pone in un futuro remoto e quasi inimmaginabile?
Ciò che alla fine del mondo avverrà su un piano cosmico, avverrebbe per l’uomo al momento della morte.
Si tratta dell’elemento più universalmente e trasversalmente attestato delle NDE [Near Death Experiences]. Ciò che della persona sopravvivrebbe in punto di morte, attraverserebbe una zona buia per immergersi poi in un mondo pieno di luce.
Voglio qui riportare un’ultima e preziosa testimonianza, che rappresenta il coronamento ideale e luminoso di un’indagine come questa:
Quindici anni fa, quando avevo cinquantanove anni, ebbi un attacco di cuore.
Era come se una cintura di ferro mi stringesse sempre più forte. Venne il dottore e mentre si allontanava per chiamare l’ambulanza mi ordinò di non muovermi per nessun motivo.
Tutto diventò caldo, splendente, luminoso e bello. La cintura di ferro non c’era più e stavo viaggiando lungo un tunnel. C’era luce, luce ed ancora luce.
Credo che non muovessi i piedi, stavo solo fluttuando. Tutto era tranquillo, pieno di pace ed amabile. Alla fine, lentamente, iniziò ad imporsi una luce brillante, veramente brillante, e sapevo che stavo procedendo proprio verso il cuore abbagliante di quella luce…
Questa, per chi crede, è la meta della storia personale e collettiva, al di là dell’attuale drammatica fase storica che comunque dovremo affrontare.
(Tratto da Simone Venturini I grandi misteri irrisolti della Chiesa, Newton Compton 2012).