I simboli non sono solo parole particolarmente evocative, ma anche i numeri, per esempio. Per parlare solo dei più noti, il tre è il numero della perfezione, il sette quello della totalità. Ma non è della simbologia numerica che voglio parlare.
I simboli hanno la capacità di mettere insieme due cose, rendendo all’uomo l’armonia e l’appartenenza ormai perdute. Linguisticamente, i simboli mettono insieme un segno e ciò che esso rappresenta, avendo la capacità non solo di richiamarlo alla memoria, ma perfino di evocarlo, di renderlo presente in noi sotto forma di emozione, per esempio.
La simbologia cromatica
Nel caso dei colori, la simbologia si arricchisce di un apporto visivo immediatamente fruibile da parte dei sensi. La cosiddetta simbologia cromatica, infatti, è una forma assai efficace per suscitare nello spettatore, ma anche nel lettore, il mood del racconto, la sua tinta emotiva di fondo.
Chi non avverte un’improvvisa ondata di affetto e dolcezza qualora entrasse in una stanza interamente pitturata di rosa? Chi non si sentirebbe a suo agio, in pace e tranquillo, entrando in una camera le cui pareti sono azzurre? Chi non si sentirebbe allegro e solare vedendo un ambiente le cui tinte vanno dal giallo all’arancione? Si dice che sia questione di frequenze minori o maggiori che influiscono sul nostro umore.
La simbologia cromatica nella Bibbia: l’Apocalisse
Anche la Bibbia è piena di colori che hanno la stessa funzione dei simboli cromatici in generale: suscitare un’emozione intensa e decisa. Pensiamo, per esempio, al libro dell’Apocalisse – l’ultimo libro della Bibbia – dove incontriamo un vero e proprio carosello di colori.
Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora.
Quando l’Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che gridava: «Vieni». Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.
Aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d’orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati».Apocalisse 6,2-8
Ruppe poi il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l’Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.
Il bianco
Il bianco, fisicamente, è la somma di tutti gli altri colori, la fusione che risulta, per esempio, quando giriamo in modo assai veloce un disco con i colori dell’arcobaleno. È il colore dell’Oltre, di ciò che sta sopra l’uomo, nella Bibbia è ovviamente il colore del mondo dove Dio abita, della trascendenza, direbbero i teologi. Il modo in cui viene descritto il cavaliere lascia pensare, infatti, a Gesù Cristo un essere ormai pienamente vittorioso e divino.
La contraddizione del bianco
Associare il bianco solo alla purezza, sarebbe un po’ semplicistico. Esso suscita la speranza, perché rappresenta un po’ ogni possibilità, perché è un colore che fa pensare al futuro.
Come un foglio bianco, su cui è possibile scrivere una nuova storia. Il fatto che sia la somma di tutti gli altri colori, compreso il suo opposto, il nero, fa pensare molto. Se, infatti, il bianco è il colore di Dio, allora significa che in lui gli opposti coincidono e si fondono?
Umberto Galimberti, facendosi interprete della tradizione greca, direbbe di sì e, infatti il sacro, il mondo degli dei è quell’ambito dove tutto può essere e dove ogni contraddizione scompare (Le orme del sacro, Feltrinelli 2000). Solo quando la ragione si impose sul mondo antico, iniziarono le distinzioni tra bene e male, tra bianco e nero e perciò anche a Dio non poteva appartenere nulla che contraddica la sua luminosa, ossia bianca, natura.
Quando Giovanni scrisse l’Apocalisse, ormai dopo che Platone, Aristotele e Parmenide avevo espresso il loro pensiero, il bianco era unicamente il bene ed apparteneva unicamente a Dio, in virtù dell’ormai consolidato principio dualistico.
Tuttavia la questione resta aperta, anche perché nella Bibbia il volto di Dio appare spesso contraddittorio (si pensi al sacrificio di Isacco in Genesi 22) e le risposte facili non risolvono il problema. Forse, occorre pensare che molto di Dio appartiene a quello che Freud e Jung chiamano inconscio. Ma non è questa la sede per parlarne.
Il rosso fuoco che cova sulle ceneri di una pace fasulla
Il rosso fuoco, come dice l’Apocalisse, è forse il colore più intenso dei quattro presentati. È il colore che suscita ardore vitale, passione, ma che accende i sensi spingendoli fin verso lo sfogo rabbioso verso qualcuno che ci sta particolarmente antipatico. È poco auspicabile far incontrare due persone che si detestano in una stanza completamente rossa!
Il rosso fuoco è il colore della guerra, del combattimento, dove c’è spargimento di sangue, ma che è il risultato quasi naturale, di una violenza invano sopita, di una giustizia invano attesa e che prima o poi esplode in rivoluzioni sanguinose e spesso inutili. La violenza, tuttavia, fa la verità di una situazione lungo repressa. In tal senso, essa svela un contesto di pace fasulla, frutto di sottili equilibri e di grandi ingiustizie.
Il nero
Sono immagini note e rese celebri dalla letteratura e dalla cinematografia, soprattutto. Il nero è l’opposto del bianco, ma che comunque il bianco in un certo senso ingloba e sorpassa. Non viene mai eliminato, ma posto ai margini, perché evidentemente elemento importante, dentro di noi soprattutto.
La bilancia, i pesi e le misure giuste rappresentano la giustizia estrema e definitiva della morte, che il colore rappresenta. Non c’è bisogno di dire qui quali emozioni susciti il nero, che però in un certo senso e in alcune situazioni è quasi e sinistramente confortante, perché ricorda a noi stessi chi veramente siamo e cosa veramente ci attende. Ma non è il nero a rappresentare la morte, almeno non qui.
Il verdognolo
Non esiste film o racconto horror o di fantascienza, dove non fuoriesca da un essere mostruoso o da uno zombi il famoso liquame verdognolo. È il colore della putrefazione e, perciò, della morte, delle sue conseguenze fisiche. Qualcosa che proviene dall’inferno, dalle aree più buie e spaventose di noi stessi e non solo dall’aldilà.
Un senso di ripugnanza e di schifo, come di qualsiasi cosa non appartiene più al tranquillo orizzonte umano. Eppure il verdognolo è una sfumatura del verde, il colore della speranza, della gioventù, della vita che rinasce. Di nuovo gli opposti si fondono, si mischiano in una prospettiva che, in fondo, è la nostra stessa vita. In essa, nulla va allontanato come qualcosa di schifoso o di ripugnante. Magari va isolato perché puzza. Idealmente, però, sarebbe sbagliato che il nero e il verdognolo non siano i risvolti di una medaglia che è sempre la nostra vita.