Forse che tutti i popoli non odiano la perversione? E tuttavia è per mezzo di tutti loro che si diffonde.
Non è forse dalla bocca di tutti i popoli che promana l’encomio della verità?
Ma c’è un labbro o una lingua che aderisca ad essa?
Qual popolo vorrebbe essere oppresso da un popolo più forte di lui?
Chi vorrebbe vedersi spogliare, ingiustamente, dei suoi beni?
Ma qual è il popolo che non abbia oppresso un altro?
Dov’è quel popolo che non ha spogliato un altro dei suoi beni?(col. II, 9-12)
Si tratta di un testo estremamente interessante – denominato 1Q27 – che dopo aver parlato del trionfo della giustizia e della luce (col. I, rr. 1-8), si sofferma su considerazioni che riguardano coloro che non fanno parte dei membri della comunità di Qumran.
I “popoli” infatti di cui si parla, sono quelli che non si sono uniti agli Esseni, sui quali l’autore di questo testo misterioso fa una riflessione assai simile a quella che Paolo di Tarso fa nella Lettera ai Romani:
Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?
cap. 7,21-23
Più che un testo che annuncia il futuro, è un libro misterioso che si avvicina – secondo me – al genere sapienzale e direi anche al genere tragico. L’ho proposto alla vostra considerazione, perché dice una profonda verità esistenziale: nessuno di noi vorrebbe fare o dire certe cose cattive che però nella realtà dei fatti si ritrova a fare.
Di tale testo esistono altre copie trovate nella quarta grotta di Qumran – 4Q299,300,301 – che però, purtroppo, non trattano questa tipologia di temi, ma sbiadiscono il giudizio finale cha farà trionfare al giustizia.