Il giudice Iefte, il cui nome ebraico è יִפְתָּח (Yiftach), tradotto come “egli aprirà”, emerge come una figura centrale nei capitoli 10 e 11 del libro dei Giudici. La radice del suo nome, פתח (patach), suggerisce un’apertura o un’espansione, un significato che rispecchia il ruolo di Iefte nell’osare e aprire una fase molto discutibile della storia d’Israele.
Iefte era un Gàlaadita, proveniente dalla regione di Galaad, un guerriero figlio di una prostituta, e fu allontanato dalla casa paterna a causa della sua discendenza illegittima. Nonostante l’ostracismo familiare, Iefte divenne capo di un gruppo di avventurieri e guadagnò una reputazione come abile combattente.
La Vicenda di Iefte e il Popolo d’Israele
Dopo anni di oppressione per mano dei Filistei e degli Ammoniti, il popolo di Israele si rivolse a Iefte, chiedendogli di guidarli contro i loro nemici. Inizialmente riluttante a causa del rifiuto precedente da parte dei suoi fratelli e della comunità, Iefte accettò, ma solo dopo che gli fu garantito di diventare il capo di Galaad in caso di vittoria.

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Il momento culminante della leadership di Iefte si verifica in Giudici 11,29-40. Iefte, sotto l’influsso dello Spirito del Signore, fa un voto avventato a Dio: se otterrà la vittoria sugli Ammoniti, offrirà in olocausto “chiunque esca dalle porte di casa mia per venirmi incontro al mio ritorno”. La tragedia si consuma quando sua figlia, l’unica sua prole, esce per prima ad accoglierlo con danze e tamburelli. Realizzando l’orrore del suo voto, Iefte è devastato, ma si sente vincolato a mantenere la promessa fatta a Dio.
La Triste Storia della Figlia di Iefte
La vicenda della figlia di Iefte è una delle più dolorose e dibattute della Bibbia. Gli esegeti sono divisi su come interpretare questo racconto. Alcuni sostengono che il testo debba essere inteso letteralmente, con la figlia effettivamente sacrificata come olocausto, riflettendo pratiche antiche e isolate che erano contrarie alla legge mosaica ma che potevano ancora persistere in alcune aree marginali e meno influenzate dalla normativa seguente normativa che proibiva tali sacrifici (cfr. Levitico 18,21).
Altri studiosi, invece, suggeriscono che la narrazione debba essere vista come simbolica o che la “sacrificio” sia stato uno di consacrazione perpetua al servizio nel Tabernacolo, paragonabile al nazireato, privando la figlia di Iefte della possibilità di sposarsi o di avere una vita familiare.
Perché la Bibbia Include Questo Racconto?
La presenza di questa storia nella Bibbia ha generato numerosi dibattiti. Alcuni commentatori la vedono come un ammonimento sul pericolo dei voti avventati e delle promesse fatte senza riflessione, soprattutto quando queste promesse hanno implicazioni etiche e personali profonde. Altri la interpretano come una dimostrazione della sovranità e della serietà di Dio nei confronti delle promesse umane, un promemoria della necessità di saggezza e prudenza nella fede e nelle decisioni.