In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque … (Genesi 1,1-2)
Etimologia di cosmo e caos
Le prime parole della Bibbia dicono a chiare lettere che, prima che Dio creasse l’habitat vegetale, animale e umano, la terra era ricoperta da acque tenebrose.
Solo prendendo in prestito parole greche, è possibile parlare di caos. Secondo Platone e Aristotele, caos significa “mescolanza, disordine” e si oppone a cosmo con cui si intende ciò che ha ordine e che proviene però dal caos.
Umberto Galimberti (Gli equivoci dell’anima, pagg. 97-99), osserva che il significato originario di caos è “apertura”, mentre quello di cosmo è “qualcosa che si impone, parola che si impone”. Perciò, nel mondo greco classico, prima del cielo e della terra, c’era un’apertura originaria in cui si imponeva una parola.
Le tenebre
Ovviamente, il significato greco di caos ha ben poco a che fare con chosheq, la parola ebraica che corrisponde all’italiano tenebre. Non esiste in sé, ma solo in relazione al cielo e alla terra e qualifica una presenza quasi sensibile, che avvolgeva la massa acquatica prima che la terra prendesse forma.
Tuttavia, anche da questo sfondo tenebroso, da questa assenza, che sono le tenebre, emerge la parola creativa di Dio, che si impone e dà ordine.
Grecia e Palestina: due idee diverse di sacro
Il caos, le tenebre sono la cifra del periodo che precedette l’emergere del macrocosmo, ossia della terra. Il fatto che esse vengano confinate dalla parola di Dio (Gen 1,4) che crea la luce – il corrispettivo del cosmo greco – e non eliminate, non può non far pensare. Perché Dio non le ha eliminate?
Se restassimo nella prospettiva del mondo greco, il sacro, la sfera divina è quella dove abitano esseri, dèi e dee, che possono permettersi tutto e il contrario di tutto, dove il bene e il male sono termini che si intrecciano e si confondono l’un l’altro. Insomma essi abitano il reame dove tutto è possibile e tutto può coesistere insieme.
Ma l’ambiente e il periodo storico in cui sono stati scritti i primi due capitoli della Genesi – intorno alla fine del VI sec. a.C. – non permettono di estendere questa visione di Dio all’immaginario degli antichi ebrei. Per essi, Dio è il bene e la luce, mentre le tenebre sono il male e nettamente separate dalla luce.
Il microcosmo
Sia per i greci che per gli ebrei, il sacro era però una dimensione che abitava il cielo dove vivevano gli dei o Yahvé. Certamente, per i greci antichi il sacro era il regno dell’indifferenziato, mentre per gli ebrei il mondo di Dio era il bene, mentre quello di Satana era il male. Qual è l’immagine originale del sacro, quella greca o quella ebraica?
Forse quella greca, di cui troviamo traccia in certe interpretazioni di altri brani della Bibbia, dove Dio appare al di là della morale dei comuni mortali. Ma non è questo il punto. Il fatto è che occorre dare retta ad Agostino, fino in fondo quando dice:
Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas.
(De vera religione, XXXIX, 72)
La verità non abita fuori dell’uomo, ma dentro l’uomo e con la verità Dio stesso, fonte della verità. Perciò, le tenebre e il caos se per ebrei e greci erano realtà esterne, la prima fatta oggetto di studio e riflessione di saggi e sacerdoti, la seconda da parte dei filosofi, oggi sappiamo che sono invece realtà interne, che se vogliamo possiamo chiamare inconscio o comunque quella parte di noi che teniamo a bada con la ragione che cerca di distinguere tra bene e male, ciò che è corretto da ciò che non lo è.
Qual è allora il senso profondo dei primi versetti della Genesi?
Che le tenebre, il caos, l’inconscio se vogliamo, e comunque tutta quella parte di noi che ci spaventa perché non controlliamo e che rischia di invadere e distruggere quello che abbiamo pazientemente costruito, il nostro io, sono realtà non eliminabili. Può invece diventare lo spazio da investigare, da conoscere, da abitare per dar voce e forma a ciò che voce e forma non ha.
Come la parola Dio creò la luce e tutto il resto, anche la nostra parola, il logos non solo può mettere ordine, ma soprattutto rinnovarsi e declinarsi ogni giorno in progetti nuovi, in nuovi ed entusiasmanti prospettive che attingono sempre più e sempre meglio da quel buio che, in fondo, siamo sempre noi.
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