Questa è la prima parola del primo capitolo della Bibbia. Più precisamente, la prima parola dell’Antico Testamento, la parte più antica, scritta tra l’undicesimo e il primo secolo a.C.
È una parola ebraica composta da una preposizione be בְּ (in Italiano “in”) e un nome reshìt רֵאשִׁ֖ית (in Italiano “inizio”). La sua traduzione è dunque “all’inizio” … l’inizio di cosa?
Del tempo, ovviamente, quando dall’infinito presente di Dio scaturì qualcosa che iniziò ad esistere nel tempo che, solo da allora, iniziò a scorrere. Inutile interrogarsi sul “quando”, ossia sul momento in cui tutto iniziò ad esistere.
La traduzione greca della Bibbia in ebraico, la cosiddetta “Settanta”, traduce Bereshìt con en archè (Εν ἀρχῇ) che ha un significato non solo temporale, ma anche archetipico. Cosa significa? Che il racconto della creazione, che qui inizia, ha un valore universale e rappresenta una specie di “sfondo” o “scena” in cui sarà ambientata la storia del popolo ebraico.
Senza questo sfondo è difficile cogliere il messaggio nascosto di tante altre pagine difficili e complesse della Bibbia. En archè, infatti, si trova anche all’inizio del vangelo di Giovanni (cap. 1, vers. 1) ed anche lì rappresenta l’inizio di tutto, ma con una prospettiva temporale assai più ampia, che va dalla creazione al Messia Yeshu (יֵשׁוּ) che è l’incarnazione della “parola” (דָבָר davar) con cui Dio creò il mondo.